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“La mia vita, in apparenza tanto semplice e monotona, in realtà è tutta una complicata faccenda di bar dove sono ben accetta e bar dove mi vogliono, strade amiche e strade minacciose, camere dove potrei essere felice e camere in cui no lo sarò mai, specchi dove mi vedo carina e specchi dove sono brutta, abiti che portano fortuna e abiti che portano sfortuna; e così via per tutto il resto”.

Sasha Jansen, inglese di mezza età, dopo una lunga assenza, torna a Parigi, tormentata dai ricordi di un passato infelice (un matrimonio naufragato, la morte del figlio), ogni sua azione, ogni suo pensiero, sono indirizzati alla ricerca disperata di una quotidianità perduta (o mai avuta?). Una camera d’albergo dalla luce perfetta, un bicchiere di Pernod, tanto per cominciare: “Ho scelto un posto per mangiare a mezzogiorno, un altro per la cena, un buco per bere un bicchiere dopo. Insomma mi sono organizzata nelle piccole abitudini”. 

Quel che ossessiona Sasha, sopra ogni cosa, è “la stanza”. Quella che potrà permettersi, che potrà accoglierla, che potrà pagare: come sarà il bagno? E l’affaccio della finestra avrà quella luce? E gli odori e i rumori? Indizi – abilmente disseminati nella narrazione – che svelano tutta la precarietà della ricerca di una stabilità emotiva e materiale. Sullo sfondo, tra le pagine, spuntano uomini a loro modo insignificanti, chi più e chi meno, se non per rIempire “la stanza”, che dovrà essere pagate in qualche modo.

E ce ne sono di stanze in questo libro, c’è quella dagli Steen: “Finestre quasi sempre chiuse, ma la camera non aveva mai odore di chiuso […] entrava un profumo di spezie e di eau de Cologne […] In quella stanza non si riusciva a pensare, né a fare piani. Solo il battito di due orologi […] Era come se fossi di nuovo bambina: ascoltare e pensare a qualcos’altro […] Come i pomeriggi domenicali”. C’è quella a Londra: “Era una stanzetta piena di aria viziata, con le mie calze appese ad asciugare davanti alla stufa a gas. Mai nulla era pulito, mai nulla nemmeno sporco”.

A metà libro è già chiaro, Sasha pagina dopo pagina si muove alla ricerca di una sensazione primordiale: quel “torno sui passi di casa”, il verso che segue quel “Buongiorno, mezzanotte!” nella poesia di Emily Dickinson scelto come titolo di questo libro.

Buongiorno, mezzanotte!
Torno sui passi di casa,
il giorno s'è stancato di me-
come potrei essere io stanca di lui?

La luce del sole era un dolce posto,
mi piaceva rimanerci-
ma il mattino non mi ha voluta-
quindi buonanotte, giorno!

O forse no. Bisogna arrivare in fondo al libro per capirne l’essenza: “Meglio tacere sulla verità di questa faccenda delle stanze, è una verità pericolosa, potrebbe fare esplodere una intera baracca, minare il sistema sociale”.

E’ una storia per “palati forti”. Non è un libro per tutte le occasioni. Serve una certa forza di volontà per continuare a leggere, pagina dopo pagina. L’autrice, Jean Ryhs riesce a confondere i piani della lettura, a stancarla, trascinarla in un bordello di sentimenti contrastanti (allo stesso tempo imperdibili) ed offre – però – anche due possibilità di riscatto da questa sua narrazione turbolenta: strisciare fuori dal libro a pagina 47: “Molto peggio di quel che temevo”. Oppure farsi trascinare fino alla fine in questa Parigi degli anni Trenta dove ogni alberghetto è uguale all’altro, con una toccata e fuga a Londra, che anaffettiva la respinge, che con crudeltà gli chiede: “Perché non ti sei annegata nella Senna?”.

“Quando esco in place de l’Odeon mi sento felice, perché ho i capelli nuovi, il cappello nuovo, perché ho fatto una lauta cena, per il vino, la fine e il caffé, e perché sento l’odore che ha Parigi di notte. Questa sera non andrò in nessun orrendo bar, no, no, voglio musica e gente che balla. Ma dove vado da sola? Bene, un altro bicchiere, e ci penso sopra”.

N.B. Buongiorno, mezzanotte uscì nel 1939, Jean Rhys aveva quarantanove anni, poco dopo si ritirò a vita privata. Nel novembre 1948, sette anni dopo la sua fuga in un minuscolo paese della Cornovaglia, sul New Statesman, appare un annuncio: “Cerco Jean Rhys (sposata in Tilde Smith) autrice di Viaggio nel Buio, Addio Mr Mackenzie, Buongiorno, mezzanotte ecc. Si prega gentilmente chiunque la conosca di mettersi in contatto col dottor H. W. Egli, 3 Chesterfield Gardens, NW 3”. L’annuncio era stato messo da un’attrice, Selma Vaz Dias che aveva letto il libro e lo aveva adattato per un monologo che doveva andare in onda sulla Bbc. In molti la davano per morta. Lei invece legge l’annuncio, si fa viva, ma scompare di nuovo. Resta lontana dalla vita pubblica fino al 1957, quando Diane Athill, editor tra le più autorevoli – nel curriculum autori come Philip Roth e John Updike, Mordecai Richler, V.S. Naipaul e Margaret Atwood – ha ascoltato un’intervista di Selma alla radio, nel quale l’attrice riferisce che Jean sta scrivendo il suo capolavoro. Diana si incuriosisce, cerca l’autrice, la trova e le offre 25 sterline per un contratto: Rhys che in quel momento vive in povertà – ha 67 anni, il suo terzo marito è in carcere – firma, e promette che consegnerà il libro entro nove mesi, che diventeranno nove anni. Ma aveva ragione Selma: quando nel 1966 esce “Il grande mare dei Sargassi” sarà un successo clamoroso. E’ il prequel femminista e anticoloniale di Jane Eyre – il romanzo di Charlotte Brontë  – con cui Rhys vinse il WH Smith Literary Award nel 1967. Ha settant’anni ed ha finalmente scritto il libro che rivela il suo immenso talento. Muore a Exeter (Devonshire)  il 14 maggio del 1979. Era nata a Roseau, capitale di Dominica (Piccole Antille) il 24 agosto 1894.

Titolo: BUONGIORNO, MEZZANOTTE
Autrice: JEAN RHYS
Editore: ADELPHI 2018
Prezzo: 17 EURO
Pagine: 169
Traduttore: MIRO SILVERA
Prima Edizione: 1939
Per una strana coincidenza, nel giro di pochi giorni mi sono ritrovata a viaggiare contemporaneamente tra le pagine di due libri che "raccontano" gli anni Trenta, Parigi soprattutto. Senza poterne farne a meno. Fino alla fine. Due libri, per carità, senza alcuna vicinanza di struttura narrativa, tanto meno di genere:"Buongiorno, mezzanotte" e "La ragazza con la Leica". Due autrici - poi - nate a distanza di settantaquattro anni: Jean Rhys (1890 - 1974) e Helena Janeczek (1964). Due storie che mi hanno imprigionata, rapita da quella leggerezza sotterranea che le attraversa, la capacità di ridere in faccia alla vita, alla disperazione, al qui e ora, davanti agli orrori della guerra, davanti ad un bicchiere di whisky a stomaco vuoto. Senza per questo perdere la luce e la prospettiva su l’umanità delle persone coinvolte, dei personaggi narrati. Giusto o sbagliato che sia. Due libri da leggere.

 

Sabrina Deligia